“E.G.O. (Ente, Gestazioni, Oniriche)” – manifesto uno
Noi membri della E.G.O, Ente Gestazioni Oniriche, apriamo il sipario del teatro dell’Onirico e corriamo in platea per goderci lo spettacolo. Invitiamo tutti a fluttuare nel dormiveglia continuo e ad ammirare l’allucinante film che si imprime, parallelamente alla vita, sulla pellicola dell’inconscio. Abbiamo sfondato il posto di blocco dei limiti reali e abbiamo già perso le tracce di Breton e compagni. Siamo andati oltre. La realtà e il Sogno sono parenti stretti e noi li induciamo EGOisticamente all’incesto per trovare la nostra Dimensione del Reale. Loro si accoppiano e noi siamo i medici che seguiranno la Gestazione dei loro figli. Noi siamo un Ente, un reparto particolare di una clinica inesistente. Noi siamo gli ostetrici che si occupano di dare alla luce il frutto della realtà ingravidata dal Sogno, ed è un parto all’inverso. Noi tiriamo il feto dalla nostra parte, cioè dentro. Plachiamo la fame nutrendoci di cordoni ombelicali e domiamo la sete brindando con boccali di liquido amniotico. Il nostro cuore è un incubatrice; ospita esseri che in breve tempo non dipenderanno più da noi. Tutto questo avviene nei nostri crani, tra le pieghe del cervello, asilo nido di questa pericolosa prole condannata da una società tecnocratica perché frutto di un amore impossibile. Questo amore è possibile! Noi rivendichiamo il diritto all’alienazione da una realtà opprimente e inutilmente rumorosa. Preferiamo vivere sulla linea di confine, sul letto dove si consuma l’amplesso tra Sogno e realtà, sul punto d’ incontro degli opposti, nell’eterno coito tra la realtà e la sua ombra. Noi non cerchiamo soluzioni e non diamo spiegazioni. Noi cantiamo l’amore e la morte, la gioia e il dolore, il caos e il silenzio…contemporaneamente, perché acquistino un senso. Noi diamo un senso alla realtà con la Nostra Realtà e fino a quando non riusciremo ad imporla, vivremo da disadattati. Tutto questo lo facciamo con umiltà ed entusiasmo, operando entro i limiti che ci siamo imposti per non perdere di vista la nostra umanità, testimoniata da una matrice artigianale che non abbandoneremo mai. Ai mezzi offerti oggi dal tentacolare panorama tecnologico, releghiamo una parte marginale: rendere visibili le nostre perversioni mentali. Noi non siamo subordinati ma subordiniamo. Questo creare e subordinare non significa considerarsi esseri superiori ma semplicemente uomini poco comuni.
(2004)